Storia Università Agraria

Quando lo Stato Italiano conquistò l’ultimo lembo dello Stato Pontificio, il territorio di Manziana apparteneva al Pio Istituto di San Spirito in Sassia di Roma che lo aveva acquistato alla fine del secolo XI dai Prefetti di Vico. 
Manziana paese non esisteva, arroccata sulla scoscesa ripa tra due fossi e resa forte da opere di difesa, esisteva Santa Pupa un villaggio di circa quattrocento anime che non se ne conoscono bene le cause, intorno al XV secolo fu abbandonato dalla popolazione sicché il Pio Istituto si trovò a gestire un territorio disabitato.

Fu verso la metà del Cinquecento, che preveggenti Commendatori di San Spirito avviarono una politica di richiamo di contadini assegnando mezzo rubbio di terreno a famiglia da coltivare a piacimento e costruirvi la capanna per viverci e concedendo il diritto di semina, di pascolo, di legnatico e altri minori sull’intero feudo, con l’obbligo di consegnare un quinto del prodotto al feudatario.
Si erano creati così gli usi civici che furono la base per cui secoli più tardi Manziana poté riscattare l’ex feudo.

 

Nel 1888 il Parlamento Italiano emanò una legge per liberare i suoli dalle servitù civiche giustamente considerate ostacolo al fiorire dell’ agricoltura: "Per ogni unità affrancata dal popolo, pari unità verrà riconosciuta libera ai discendenti dei feudatari".
Da quel momento gli Amministratori di Manziana iniziarono una lunga trattativa con il San Spirito e attraverso alterne vicende di scontri legali e accomodamenti nel giugno del 1903 vengono in possesso di un territorio di cinquecentocinquanta ettari comprendente Macchia Grande con le radure del Camillo, Canepine, Bologno e Bottaccio e di altri seicentocinquantasette ettari dei Quarti del Travertino, Callara, Ponte Mariano, Pontoni e Mola.
Già il 4 agosto successivo si tennero le elezioni per la nomina del primo Consiglio d’Amministrazione del nuovo ente denominato Università Agraria di Manziana, che sotto la presidenza di Filippo Vittori, comincia a darsi le strutture previste dalla legge per amministrare il territorio.
Mentre la porzione di territorio idonea all’attività agricola viene dapprima concessa in uso ai manzianesi che per sorteggio ricevono una quota da coltivare e restituire dopo il raccolto, successivamente le assegnazioni vengono rese permanenti con l’obbligo di apportare migliorie al fondo.

Diverso è il destino di Macchia Grande. L’Amministrazione, fatti salvi i diritti di uso civico quali la raccolta di legno da essenze dolci vive e da essenze forti morte e il pascolo, ha sempre mostrato interesse alla tutela del patrimonio boschivo anche se, onde ricavare le entrate per il funzionamento dell’Ente, effettua tagli annuali. L’amore per il bosco è sempre presente nelle risoluzioni dell’ Università Agraria che, è ormmai storia recente, ha fatto divieto di raccolta del pungitopo e dell’agrifoglio. Ma ancora più significativa è la risoluzione del 1974 di abbandonare la pratica del taglio, certameente favorita dalla prospettiva di ottenere un adeguato risarcimento dalla Regione Lazio.

La storia di Manziana e del suo territorio e la nascita dell’Università Agraria proprietaria del bosco o meglio organismo gestore per conto della comunità manzianese che è stata per sommi capi illustrata, mostrano come il bosco Macchia Grande che oggi tutti ammiriamo, non è affatto come si potrebbe supporre il residuo di un’immensa foresta primordiale bensì la sintesi tra la vocazione del territorio determinata dal clima che ha operato per centinaia di migliaia di anni la selezione delle specie più adatte e quella più incisiva dell’uomo in grado di portare alla sostanziale estinzione del bosco nel volgere di pochi decenni. Il territorio di Manziana ha visto far strage della sua selva già in epoca preromana causa della necessità della lavorazione dei metalli dei Monti della Tolfa e successivamente per le attività agricole della Roma imperiale. La selva è ritornata a primeggiare con il declino di Roma per vedere un nuovo poderoso attacco a partire dal 1500. Comunque sia, Macchia Grande esiste come un esempio rimarchevole di bosco d’alto fusto nel quale si ritrovano a meraviglia numerose specie di origine certamente non mediterranea, che nelle condizioni climatiche del territorio trovano l’habitat ideale.